
Stavo per perdere il controllo. Mi fermai per riprendere fiato e cercare di calmarmi. Dovevo lasciarlo andare. Dovevo assicurarmi che quella situazione non si ripetesse mai più.
«Isabella Marie Swan», sussurrò, sul viso un'espressione strana, quasi da pazzo, «credi davvero che io abbia chiesto ai Volturi di uccidermi perché mi sentivo in colpa?».
Mi si leggeva in faccia che non capivo. «Non è così?».
«Certo che mi sentivo in colpa. Molto. Più di quanto tu possa immaginare».
«Ma... cosa stai dicendo? Non capisco».
«Bella, sono andato dai Volturi perché credevo fossi morta», disse, la voce vellutata, lo sguardo fiero. «Sarei andato in Italia anche se non fossi stato il responsabile della tua morte», pronunciò la parola con un sussulto, «anche se non fosse stata colpa mia. Certo, avrei dovuto agire con più cautela e parlarne prima con Alice, anziché prendere per buona la versione di Rose. Ma, sinceramente, cos'altro avrei potuto pensare, quando il ragazzo mi ha risposto che Charlie era al funerale? Quante probabilità c'erano? Probabilità...», mormorò, distratto. La sua voce era talmente bassa che non ero certa di avere capito. «Le probabilità sono sempre contro di noi. Un errore dopo l'altro. Non criticherò mai più Romeo».
«Continuo a non capire», dissi. «Anch'io ne sono convinta. E allora?».
«E allora cosa?».
«Se anche fossi morta davvero?».
Mi fissò a lungo, dubbioso, prima di rispondere. «Non ricordi cosa ti ho detto una volta?».
«Ricordo tutto quel che mi hai detto». Comprese le parole con cui aveva cancellato tutto.
Mi sfiorò il labbro inferiore con la fredda punta del dito. «Bella, temo che tu sia vittima di un equivoco». Chiuse gli occhi, scosse la testa avanti e indietro e accennò un sorriso. Ma non sembrava allegro. «Pensavo di avertelo già spiegato chiaramente. Non sono in grado di vivere se al mondo non ci sei tu, Bella».
«Sono...», mi girava la testa, in cerca dell'aggettivo migliore, «confusa». Ecco. Non capivo il senso delle sue parole.
Mi fissò dritto negli occhi con il suo sguardo spontaneo, sincero. «Sono un bravo bugiardo, Bella. Devo esserlo».
Restai impietrita, con i muscoli contratti, pronti all'impatto. La faglia che mi attraversava il petto si squarciò e il dolore mi mozzò il respiro.
Edward mi diede uno strattone, nel tentativo di sciogliere la mia posa rigida. «Lasciami finire! Sono un bravo bugiardo, ma tu mi hai creduto troppo in fretta». Trasalì. «È stato... atroce».
Restai in silenzio, senza battere ciglio.
«Quando ti ho detto addio, nella foresta...».
Non osavo ricordare. Mi sforzavo di restare attaccata al presente.
«Non ti saresti arresa», sussurrò, «lo sapevo bene. E non volevo farlo perché sapevo che sarei morto anch'io, ma temevo che, se non ti avessi convinta che non ti amavo più, avresti impiegato ancora più tempo a riprendere una vita normale. Speravo che, dimostrandoti di averti dimenticata, tu potessi fare altrettanto».
«Un taglio netto», mormorai quasi senza muovere le labbra.
«Esatto. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così facile! La consideravo un'impresa quasi impossibile. Ero sicuro che intuissi la verità e mi aspettavo di dover mentire a denti stretti per ore prima di insinuare l'ombra del dubbio dentro di te. Ti ho mentito e ti chiedo scusa... scusa per averti ferita, scusa perché è stato un tentativo inutile. Scusa se non ti ho protetta da ciò che sono. Ho mentito perché volevo salvarti e non ha funzionato. Scusami.
Ma come hai potuto credermi? Dopo che ti ho ripetuto migliaia di volte che ti amavo, com'è stato possibile che una sola parola frantumasse la tua fiducia in me?».
Non risposi. Ero troppo sbalordita per elaborare una frase razionale.
«Lo vedevo nel tuo sguardo, sembravi sinceramente convinta che non ti volessi più. L'idea più assurda e ridicola... come se io potessi mai trovare il modo di esistere senza aver bisogno di te!».
Ero ancora impietrita. Le sue parole erano incomprensibili, perché impossibili.
Mi diede un altro strattone, quel poco che bastava a farmi tremare i denti.
«Bella», sospirò. «Davvero, cosa pensavi?».
A quel punto scoppiai a piangere. Le lacrime di tristezza si addensarono e iniziarono a rigarmi le guance.
«Lo sapevo», singhiozzai. «Sapevo che era un sogno».
«Sei incredibile», disse e fece una risata nervosa, irritata. «Cosa devo fare per convincerti? Non stai dormendo e non sei nemmeno morta. Sono qui e ti amo. Ti ho amata sempre e sempre ti amerò. Ho pensato a te, visto il tuo volto nei ricordi, durante ogni minuto di lontananza. Dirti che non ti volevo più è stata una terribile bestemmia».
Scossi la testa, le lacrime non si fermavano.










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